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LETTERA DI CLAUDIO L.
Alla Sig.ra Giuliana Papini
Signora Giuliana, innanzitutto la saluto, avevo da tempo pensato, e non ricordo se vi avevo già anticipato l'intenzione di farlo, di scriverle questa lettera. Certo, posso chiamarla sempre, ma credo che una lettera sia un modo in più per raccontarle tante cose della mia grande avventura che ho passato dal marzo '96 a quello del '97, io credo di aver vissuto una esperienza unica, maestosa, che mi ha fatto sentire per la prima volta una persona importante, utile, e soprattutto responsabile.
Sono sinceramente fiero di quello che ho fatto, e anche la mia famiglia è orgogliosa di me, queste cose contano molto. Ho capito di essere un ragazzo molto fortunato, di avere tanti privilegi, e credo che la mia salute non debba essere usata solo per divertirmi, per viaggiare, e per fare tutto ciò che voglio, devo sfruttarla anche per aiutare chi è più sfortunato, chi ha bisogno di amore, di compagnia, tengo a precisare che non sono un santo, e non me ne pento, preferisco essere me stesso, con tutti i pregi e i difetti che comporta la mia età, le mie gioie e le mie paure, le mie devo dire tantissime emozioni, che per fortuna, fino ad ora non mi sono mai mancate. Un'esperienza come questa la porterò nel cuore, è destinata a segnarmi per sempre. Ricordo i primi giorni, quando lo shock dell'incontro con i miei amici mi ha sconvolto, era qualcosa di diverso da tutto quello che avevo provato fino ad ora, ricordo la preoccupazione dei miei, quando mi videro di ritorno da Marco, il primo dei miei amichetti, che avrei assistito, e ricordo quando ho conosciuto Giovanni e poi Marta, mi sono detto;"DOVRÒ FARE TUTTO DA SOLO!".
Mamma mia che paura, quante notti insonni, quanti pensieri, la paura di non essere all'altezza, di poter fallire, temevo che non ce l'avrei fatta ad affrontare questa esperienza, avrei voluto scappare, andare via. Poi mi sono detto che posso avere tutte le paure di questo mondo, complessi, incubi e tormenti ma che non sono di certo un vigliacco o una persona inutile, ho capito cioè, che avevo la possibilità di poter dimostrare quanto valevo, e di poter meritare tutto il rispetto delle persone che mi amano e mi rispettano, avrei potuto chiedere di poter cambiare assistiti e di averne altri, ma ora poco importa se potevo ottenerlo o no, perché lei Sig.ra Giuliana, mi ha dato un grande aiuto morale. Mi ricordo anche quando mi ha detto in quei giorni di far passare un mese, e poi le avrei detto se le cose andavano meglio o se erano sempre così, ebbene in un mese ho capito che non avrei voluto cambiare assistiti, mi ero affezionato già tanto, la dolcezza, la pietà, l'immensa umanità che ho visto e ho provato, mi hanno temprato di qualcosa di molto importante e che sicuramente sarà fondamentale per il mio futuro, e credo sia il CORAGGIO. Ho imparato ad avere tanta ammirazione e rispetto, ho capito cosa significa dover battersi contro le avversità, quanti sacrifici si fanno, e anche quelli che ho fatto io, ogni giorno con i mezzi pubblici, non avendo voglia di guidare, e le battaglie con gli altri pendolari che spingevano, l'ignoranza di chi spingeva e la stupidità di tanta altra gente, ma anche l'aver visto una realtà di Roma, della mia amata Roma diversa, traumatica, la povertà, la mancanza di interesse verso i poveri che vagano nelle stazioni, di chi chiede l'elemosina, di chi non ha una casa o una famiglia, ho imparato più in 12 mesi che in 20 anni, sul serio. Ricordo le persone di ogni tipo che ho conosciuto per strada gente di ogni tipo, non tutti poi raccomandabili, ma sa io credo che ognuno possa insegnare qualcosa, e se non si è scortesi tutti ti rispettano, e capisco anche da chi mi devo guardare bene dal frequentare. Quest'anno mi ha maturato molto anche sul lato dei rapporti sociali, anche se la mia natura mi porta ad essere un solitario malinconico. Ho incontrato moltissime difficoltà i primi giorni ad inserirmi nelle famiglie e, devo dire che a parte qualche eccezione, alla fine non ho legato molto con tutti, ma non importa, alla fine so che tutti mi apprezzano per quello che ho fatto, e le dirò di più, a poche settimane dalla fine del servizio, ho saputo dalla Sig.ra C. che Giovanni mi vuole tanto bene. Alla signora lo ha detto un volontario che va sia da Marco sia da Giovanni, e credo che dopo un anno in cui ho fatto di tutto per onorare questo impegno questa notizia sia stata il giusto premio per me.
Credo di aver meritato gli elogi finali, e naturalmente rimarrò in contatto con i miei amici, dopo un anno così è chiaro che sarà molto difficile per me abituarmi all'idea che non andrò tutti i giorni, per questo infatti sono molto contento che sia finito questo periodo, ma provo anche un senso di malinconia, cosa che mi viene alla fine di una avventura così bella, e indimenticabile. Ora devo cominciare a trovare una nuova occupazione, un lavoro, e tante altre motivazioni per far scaturire tutto quello che ho, con grinta, con tanto impegno, sono cosciente che il futuro è tutto da giocare, come una lunghissima partita, io mi accontenterò di essere vivo e di stare bene, se poi dovessi riuscire a fare qualcosa di grande, che mi faccia ricordare meglio ancora, credo comunque di aver fatto qualcosa di grandioso già adesso.
Ho inoltre conosciuto tanti bravissimi volontari, che si sono dati da fare, con il solo scopo di essere utili, e devo dire che ho capito tante cose anche da loro. Ho scoperto persone, coraggiose, che hanno accettato il destino dai loro cari, come ho scoperto il suo (non sono ipocrita) Sig.ra Giuliana, e credo che tutti quelli che hanno paura di affrontare la vita di tutti i giorni come l'avevo io anni fa, dovrebbero imparare molto da voi, non passa giorno che non cresca la mia stima verso voi tutti, e anche se ho sentito dire che a volte il silenzio è la migliore forma di rispetto verso chi lo merita, io preferisco farlo sapere chiaramente, io sono così, non voglio tenere dentro emozioni così belle, mi piace esprimermi, anche se a molti non piace la gente che parla tanto, ma anche questo è un mio modo di vivere. Detto questo la saluto, mandi un bacio da parte mia a Daniele, mi farò sentire tra un po', così la verrò a trovare con grande piacere, la ringrazio di tutto e arrivederci a presto.
CLAUDIO L. Roma, 38/3/97
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LETTERA DI CLAUDIO V.
Signora Giuliana,
questa lettera, seppure sia indirizzata a Lei, è rivolta a tutti coloro che direttamente o indirettamente si trovino, per motivi personali o professionali, a dovere fare delle scelte nell'ambito del Servizio di Leva.
Proprio perché il lettore può essere una persona qualunque è necessario che io mi presenti: mi chiamo Claudio e sono nato nel 1970 a Roma.
Dopo essermi laureato in Economia e Commercio ho dovuto affrontare il problema del Servizio di Leva. La prima alternativa che mi si è posta di fronte riguardava la possibilità che mi veniva offerta dalle leggi italiane di poter fare un Servizio sostitutivo civile, al posto dell'ordinario Servizio militare.
Ho ritenuto più opportuno, per motivi personali, non rilevanti ai fini di questa lettera, di svolgere il Servizio sostitutivo civile, di fare cioè l'obiettore di coscienza; le opportunità sul come e dove svolgere il Servizio sono molteplici: lavorare nei ministeri, nei musei, nelle associazioni che si occupano di tutela dell'ambiente, nei sindacati, nelle associazioni culturali, negli ospedali, nelle case di riposo ecc. In genere è lo stesso obiettore che indica una preferenza sul dove svolgere il Servizio, preferenza di cui l'Autorità competente cerca di tener conto nell'assegnazione dell'obiettore ad uno degli Enti.
Io avevo chiesto di poter prestare servizio in un museo, o comunque in qualcosa di simile, sperando da una parte di venire accontentato, dall'altra di non capitare comunque in Enti di assistenza a persone disabili, ad anziani, ecc.
L'Ente che mi fu assegnato, e in cui ho preso servizio il 29 agosto 1995, era l'Associazione PER1HA (Associazione genitori operatori e volontari per l'handicap) che si occupa di assistenza domiciliare a persone disabili; in pratica mi fu assegnato un Ente in cui non volevo assolutamente svolgere il mio servizio. In passato la mia esperienza nell'ambito dell'handicap era nulla in quanto non ero mai venuto in contatto, se non magari a scuola o per strada, con persone handicappate e, d'altronde, l'Associazione aveva come utenti, cioè come persone da assistere, anche handicappati molto gravi; il mio compito sarebbe dovuto essere quello di aiutare gli handicappati e le loro famiglie nelle loro necessità quotidiane.
L'impatto con questa realtà è stato per me traumatico tanto da prendere seriamente in considerazione l'ipotesi di chiedere un trasferimento ad altro Ente; all'inizio non volevo assolutamente accettare la realtà che invece dovevo affrontare in quanto avrei dovuto passarci un anno della mia vita.
Grazie alla comprensione della responsabile dell'Ente, la signora Giuliana, che capì le mie difficoltà pratiche, per la mia mancata esperienza, e psicologiche, per il non volere accettare quel tipo di realtà, decisi di non fare richiesta di trasferimento e la signora Giuliana stessa mi affidò degli utenti che potevano in qualche modo agevolare il mio compito.
Gli handicappati di cui mi occupavo erano: Chicca B., di anni 26, handicappata grave; Enrico P. di anni 25, handicappato motorio; Brunelle M., di anni 35, handicappato grave; inoltre avevo un altro paio di persone di cui però mi occupavo per poche ore settimanali. I miei compiti erano diversi in relazione alla persona che avevo di fronte quando ero in servizio: per Chicca, le due cose importanti erano di portarla in giro e di permettere ai familiari di essere liberi in quelle ore in cui io ero in servizio; con Enrico il tempo trascorso insieme era dedicato all'accompagnarlo a fare ippoterapia, ad andare in giro insieme, a stare con lui davanti al computer, ecc.; con Brunelle, l'aiuto era dato sopratutto ai genitori, in quanto persone anziane, per cui, ad esempio, uscivo con la madre di Brunelle per accompagnarla a fare la spesa.
Inizialmente il rapporto con questi ragazzi e con le loro famiglie era molto freddo, seppure basato sempre sul'educazione e sulla comprensione reciproca; in effetti consideravo il mio servizio come un dovere da compiere, magari nel miglior modo possibile, anche perché solo così il tempo sarebbe trascorso più velocemente. Insomma la "strategia" era che ogni giorno che passava era un giorno in meno da dedicare al servizio; se c'era un sentimento nei confronti di queste persone era sicuramente qualcosa di simile alla pietà. In questo primo periodo mi sono più volte chiesto il significato da dare alla vita di queste persone e anzi se la stessa si potesse chiamare vita, non da un punto di vista biologico perché indubbiamente lo era, ma da un punto di vista umano, partendo dal principio che ognuno di noi, in quanto essere umano, ha nella propria vita delle aspirazioni e dei rimpianti, ha vissuto momenti di gioia così come di dolore, per cui vedere queste persone quasi vegetare più che vivere mi risultava essere una cosa troppo crudele, tanto da pensare che, in fondo, il sopportare quella situazione da parte dei familiari fosse vissuta soprattutto come una colpa da espiare. A questo proposito mi colpiva soprattutto l'enorme sacrificio che un handicappato impone ai propri genitori per i quali la giornata è scandita in relazione ai bisogni del disabile, così come un neonato, con la differenza che il neonato cresce, l'handicappato invecchia, cioè agli originari bisogni spesso non se ne sostituiscono altri, come nel caso del bambino, ma se ne aggiungono, creando per i genitori una pressione psicologica enorme in quanto hanno di fronte delle persone dalle quali, credevo, non fosse possibile avere un segnale di risposta.
Con il passare dei mesi mutava il rapporto con questi ragazzi e con i loro familiari e cambiava anche il mio modo di vedere questa realtà. Con il tempo mi accorgevo che questi ragazzi, anche quelli che non potevano parlare, riuscivano a comunicare, magari attraverso gli occhi, un loro momento di disagio e di difficoltà oppure un loro momento di gioia; in pratica incominciavo a vedere in loro una persona incapace di comunicare con la parola ma abile nel trasmettere delle sensazioni, cioè incominciavo a vedere in loro una persona e non più una "cosa". A mano a mano cambiavano anche i miei sentimenti nei loro confronti, cioè non mi sentivo più l'obiettore che faceva il suo servizio per dovere, ma un ragazzo che aiutava una persona in difficoltà che, malgrado i suoi limiti oggettivi, aveva molte cose in comune con me, comunque più di quelle che pensavo. Questo nuovo modo di vedere le cose portava con sé un cambiamento anche nei confronti delle famiglie che non vedevo più come persone "colpite da una disgrazia", piuttosto come una famiglia in cui uno dei figli aveva bisogno di maggiore attenzione perché impossibilitato, per colpa di nessuno, a svolgere da solo anche le cose più elementari; questo mi faceva cambiare opinione anche sul rapporto tra genitori e figlio disabile: mi rendevo conto che le attenzioni che i genitori rivolgevano a questi ragazzi non era motivata da sensi di colpa ma da un normale preoccupazione che qualsiasi genitore ha nei confronti dei propri figli.
Con il passare del tempo i miei rapporti con questa realtà sono cambiati sempre di più ma sempre nella medesima direzione tanto che la fine del servizio non mi ha procurato una così grande gioia e il ritiro del sospirato foglio di congedo illimitato ha voluto significare per me solo la possibilità di cominciare a entrare nel mondo del lavoro per costruirmi in futuro una mia vita autonoma. Credo di essere uno dei pochi ragazzi in condizione di dire, alla fine del Servizio di leva, di non avere sprecato un anno della mia vita, in quanto, seppure quell'anno poteva essere speso per accrescere la formazione per la mia futura vita professionale, sono sicuro di aver ricevuto, dai "miei handicappati", così come mi piace chiamarli, più di quanto io ho donato loro. Non so se mi sento più legato ad Enrico, Chicca e Brunelle o piuttosto alle loro famiglie, ma so di certo che se anche qualche volta il servizio è risultato noioso o pesante, loro mi hanno fatto sentire a volte così importante che, terminato il servizio, posso affermare, senza ombra di dubbio, che sono loro, oggi, indispensabili a me in quanto mi hanno aiutato a vedere e giudicare le cose in maniera diversa; insomma anche a voler essere cinici, il mio servizio è durato un anno, ciò che loro mi hanno trasmesso lo porterò con me per tutta la mia vita. Seppure ho svolto il Servizio di leva non mi sento di dire di aver dato un aiuto alla collettività o magari aver svolto un servizio per la Patria, credo invece di aver passato un anno a fianco di persone che oggi considero amiche.
Scrivendo questa lettera mi sono reso conto che è molto difficile spiegare le proprie emozioni, in quanto si rischia di eccedere nei due limiti opposti: non riuscire effettivamente a trasmettere ciò che si è veramente provato, oppure cadere nel banale. Spero che chi legge si adoperi per comprendere quelle sensazioni, che sono belle da sentire dentro ma difficili da spiegare.
Lo scopo di questa lettera è solo quello di far riflettere, anche per il solo tempo occorrente per la lettura, sull'importanza che ha il servizio, come quello da me svolto, nei confronti, prima di tutto, di chi lo riceve e successivamente anche nei confronti di chi lo svolge.
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LETTERA DI SARA
E strano come la vita riesca a volte a cucirti addosso situazioni che mai avresti potuto neanche immaginare di trovarti a vivere. Sto pensando questo come una ragazza di ventitre anni, che fra i suoi mille interessi e le sue mille passioni, si e trovata spiazzata e profondamente completata dallesperienza maturata nei dodici mesi di servizio civile volontario. Lo so, le solite frasi di circostanza penserete voi, magari su richiesta e inevitabilmente forzate. E invece no, a quasi sei mesi dalla fine della mia esperienza, nella quale mi sono trovata catapultata quasi per caso e probabilmente senza nemmeno capire bene a che cosa stavo andando incontro, le parole scorrono sotto le mie dita come se le sensazioni lasciate sopite per tutto questo tempo avessero ansia di essere comunicate a chi questa esperienza si sta apprestando a viverla.
Parlando di disabilita, spesso si e portati a pensare a una realtà di limitazioni, di privazioni e di sacrifici, che, senza ipocrisie, certamente i ragazzi che ho conosciuto e loro famiglie si sono trovati ad affrontare, ma cioche troppe volte si ignora ela quantità incredibile di sfumature che ci si trova davanti una volta che si e riusciti ad aprire la porta di accesso al loro piccolo grande mondo.
Il loro mondo, gia. Fatto di altri sguardi, di intensi silenzi, di semplici sorrisi di diversi modi di comunicare le stesse emozioni.Piccoli gesti quotidiani ai quali ancora non sono riuscita a rinunciare completamente, probabilmente perche non ho nessuna intenzione di lasciarmeli alle spalle. E una capacita di concedere amore e di riceverne che ha cambiato il mio modo di concepire le relazioni con le altre persone e soprattutto il rapporto con me stessa. Sorridere delle piccole gioie, provare emozioni vere con un abbraccio,riuscire a capirsi senza bisogno di utilizzare alcuna parola io,sempre insoddisfatta, sempre a rincorrere gratificazioni, ad immaginare di raggiungere la felicita nascosta chissa dove, mi son lasciata guidare dai loro taciti e forse impliciti insegnamenti Durante le prime settimane non sempre puo essere facile riuscire a stabilire i giusti canali di comunicazione, tanto che la titubanza di Tato e di Mone(i miei due ragazzi..spero sarete fortunati come me ad incontrare ragazzacci capricciosi e adorabili come loro..), nel concedermi la loro fiducia, allinizio mi aveva fatto pensare che forse sarebbe stato meglio ringraziare tutti, scusarmi e ritornare alla mia vita "normale"(questo e un termine che faccio sempre piu fatica a connotare nel suo significato capirete anche voi il perche ) al mio lavoro, alle mie abitudini. Ma giorno dopo giorno, il muro di legittima perplessita che sembrava dividerci si e andato progressivamente sgretolando, lasciando il passo ad un rapporto semplicemente splendido, tanto che, cosa che ho riscontrato anche parlando con i miei compagni di avventura, obiettori e volontari, a pochi giorni dal termine del servizio,(e molto brutto chiamarlo cosi, considerato il rapporto che si va a stabilire non solo con i ragazzi ma anche con le loro famiglie, che finiranno con l "adottarvi"come figli acquisiti, credete a me ) ci si trova con una stranissima sensazione. Non saprei neppure come descriverla, come una sorta di distacco forzato, un allontanamento al quale non si e mai pronti a reagire Dopo 365 giorni di condivisione di sorrisi e lacrime, di malattie a letto e passeggiate al sole, di divertimenti e giornatacce, carezze e molte volte anche cazzotti (eh, si, non sto scherzando ), ci si sente come privati di un modo di vivere che non e piu soltanto subito dalle esigenze di questi furfantelli, ma diventa tuo e ti entra dentro, sotto pelle e dentro al cuore, ogni istante che si trascorre insieme.. Cosi tutta la fatica e tutti i sacrifici a cui sono andata incontro in questo anno cosi particolare (tempo sottratto al lavoro, agli amici, e fidanzati vari, per esempio..) sono sembrati uninevitabile normalita, che ti manca, eccome alla fine di tutto Anche se probabilmente di fine non si tratta, perche certi legami e difficile che si cancellino solo con la scadenza di un contratto..Scusate se mi sono dilungata, e forse troverete banali le mie considerazioni, ma voglio ancora una volta ringraziare, e non smettero mai di farlo, Daniele e Simone, per il grande privilegio che mi hanno concesso Lasciarsi voler bene e dimostrarmi quotidianamente un affetto cosi puro, autentico e disinteressato, che quasi mai mi e capitato di ricevere nella vita
In bocca al lupo a tutti voi, e tranquilli, state facendo la scelta giusta
Ciao, Sara.
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